Ecco le illustrazioni che ho avuto il piacere di fare, in collaborazione con Glia, un'associazione che si rivolge agli studiosi e a tutti i curiosi, interessati e appassionati di psicologia.
I testi degli articoli sono stati scritti da Alessia Sorrentino, laureata in Scienze Psicologiche Cognitive e Psicobiologiche all'Università di Padova, frequenta adesso il Master in Neuropsicologia Clinica all'Università di Leiden (Olanda).
BRAIN FOOD: GLI EFFETTI BENEFICI DELL’ASSUNZIONE
DI FUNGHI SULLA DEPRESSIONE
Negli ultimi dieci anni, un crescente interesse verso nuove e diverse abitudini alimentari ha determinato in molti di noi uno shift da una dieta onnivora a una vegetariana o vegana. L’aumento di popolarità della cosiddetta dieta plant-based potrebbe essere spiegato guardando a quanto, all’interno dell’industria alimentare, la consapevolezza rispetto all’ecosostenibilità e alle innovazioni siano anch’esse cresciute. Quali sono però i motivi per cui dovremmo considerare una conversione al vegan? E ci sono specifici alimenti da cui potremmo trarre beneficio?
Secondo una revisione – ossia uno studio che sintetizza i risultati di diverse ricerche –, introdurre una dieta vegetariana/vegana avrebbe un’influenza positiva sul nostro metabolismo e, in generale, sulla nostra salute (Medawar et al., 2019). I risultati mostrano, infatti, benefici sul peso, sui livelli di glucosio e insulina nel sangue e persino sui marker infiammatori – piccole “spie” che informano il nostro corpo quando è presente un'infiammazione. Inoltre, si è visto come specifici nutrienti possano avere un effetto positivo non solo sul nostro corpo ma anche sul cervello, influenzando persino alcuni processi cognitivi ed emotivi (Gómez-Pinilla, 2008).
In particolare, una ricerca condotta in America ha analizzato gli effetti di uno specifico alimento sulla salute mentale: il fungo (Ba et al., 2021). Con i suoi antiossidanti e la vitamina B12, il fungo non solo rappresenta una valida alternativa alle tipiche verdure nella costruzione di una dieta sana, ma potrebbe addirittura mostrare effetti antidepressivi. L’ipotesi è stata avanzata dai ricercatori sulla base della capacità dei funghi di stimolare l’espressione dei fattori neurotrofici, proteine che regolano la crescita dei neuroni e aiutano a prevenire alcune malattie neuropsichiatriche. Inoltre, i funghi contengono agenti antinfiammatori, anch’essi legati allo stress e alla depressione. La ricerca consisteva nel somministrare, a quasi 25000 americani, un questionario per analizzare i livelli di depressione e la quantità di funghi assunta periodicamente.
Nonostante la bassa percentuale di partecipanti che mostravano sintomi depressivi (c.a.6%), i risultati rivelano un’associazione significativa tra aumento dell’assunzione di funghi e una minore probabilità di presentare un episodio depressivo.
Pertanto, è evidente come è possibile trarre benefici non solo da una dieta plant-based ma in particolare da alcuni specifici alimenti, quindi semplicemente scegliendo più consapevolmente i prodotti che consumiamo.
E voi? Cambiereste le vostre abitudini alimentari?
E voi? Cambiereste le vostre abitudini alimentari?

LO STRESS: NON SOLO UNA QUESTIONE DA ADULTI
Vi siete mai chiesti cosa vi ha portato a essere chi siete oggi? E, in particolare, quali sono gli eventi che hanno determinato delle conseguenze significative nella vostra vita adulta?
Si può, certamente, affermare che diversi sono i fattori che possono contribuire a formare la nostra persona, come la famiglia e l'ambiente in cui cresciamo. Vi è, però, un elemento che, se presente durante l'infanzia, può influenzare in modo ancor più incisivo la nostra vita adulta: lo stress. Per stress si intende un processo che il nostro organismo mette in atto in presenza di eventi interpretati come pericolosi o difficili, anche detti stressors (Selye, 1984). In questi casi, il nostro sistema nervoso entra nella cosiddetta modalità fight or flight (combatti o fuggi), attivandosi attraverso il rilascio di alcune sostanze – come l’adrenalina e il cortisolo (detti, per questo, ormoni dello stress). I livelli di tali sostanze si abbassano, poi, nel momento in cui il fenomeno scatenante viene superato. Cosa succede, però, se questi eventi stressanti vengono vissuti durante l’infanzia e quali sono le conseguenze a lungo termine?
Diverse sono le ricerche che si stanno concentrando sugli effetti di alcuni stressors con cui si può venire a contatto nell’infanzia e le relative conseguenze nella vita adulta. In particolare, lo studio condotto da Miller, Chen e Parker (2011), ha investigato come due eventi particolarmente stressanti possano portare a delle alterazioni negative per la salute nell’adulto: essere in una condizione di svantaggio socioeconomico e subire maltrattamenti (fisici o emotivi) da parte dei genitori. Secondo questa ricerca, questi due fenomeni produrrebbero una cascata di eventi sia a livello comportamentale che biologico.
A livello comportamentale, l’essere esposti a relazioni genitoriali tossiche e a risorse scarse, porterebbe a un aumento del nostro livello di attenzione e vigilanza – con una conseguente elevazione del nostro livello di reattività e impulsività – e, allo stesso tempo, diminuirebbe la nostra capacità di avere fiducia nel prossimo – che si traduce in una crescente difficoltà nel costruire relazioni. L’insieme di questi elementi non solo potrebbe sfociare nell’adozione di questi comportamenti e scelte di vita poco salutari, ma determinerebbe conseguenze anche a livello biologico. Lo stress, infatti, fungerebbe da agente di programmazione che modella i nostri macrofagi – molecole immunitarie chiamate “spazzini del corpo umano”, poiché eliminano batteri e molecole danneggiate. Essendo le nostre funzioni immunitarie, soprattutto durante l’infanzia, plastiche, le cellule saranno programmate per mostrare una tendenza all’infiammazione più pronunciata in risposta a eventi stressanti. Questa caratteristica determina, nel caso di esposizione prolungata e ripetuta a stressors, una costante infiammazione cronica che rappresenta il precursore di condizioni come l’ipertensione, i tumori e le malattie cardiovascolari.
Tali risultati necessitano di ulteriori studi e approfondimenti, per meglio comprendere se la relazione tra stress cronico e rischio di sviluppare patologie sia di tipo diretto (e.g., all’aumentare dei maltrattamenti, incrementa il rischio di malattie cardiovascolari) o se intervengano anche altri processi di mediazione. Ciononostante, queste evidenze suggeriscono che l’ideale sarebbe permettere ai bambini di vivere un’infanzia serena, essendo quanto più possibile presenti per loro e per i loro bisogni, sia fisici che emotivi.

THE RIPPLE EFFECT:
COME L’ESSERE SPOSATI INFLUENZA LA NOSTRA SALUTE
Solo in Italia, quasi 30 milioni di persone tra uomini e donne sono sposate (ISTAT, 2018). Vi siete mai chiesti, però, quanto essere in una relazione coniugale possa cambiare la singola persona e, in particolare, il suo stato sia fisico che mentale?
Formare una coppia con il proprio partner sembra, infatti, generare un cosiddetto “Ripple Effect”, ossia un effetto pervasivo e solitamente non intenzionale per cui una serie di eventi accade a causa di una singola iniziale azione (Long, 2001) – in questo caso, proprio diventare marito e moglie.
La recente ricerca di Kiecolt-Glaser, Wilson e Madison (2018) cerca, a questo proposito, di investigare il cambiamento a cui le coppie sposate sono sottoposte relativamente alla loro salute e lo fa attraverso una metanalisi, ovvero una sintesi dei principali risultati provenienti da alcuni studi già pubblicati in precedenza. In particolare, i ricercatori hanno riscontrato che le coppie sposate mostrano un’espressione genetica e profili immunologici molto simili, manifestando, vale a dire, un rischio maggiore di condividere malattie come il diabete e l’ipertensione. L’influenza dell’appartenere alla coppia marito-moglie, però, non si ferma solo all’aspetto biologico: la condivisione della vita quotidiana, delle abitudini alimentari e del sonno possono determinare alterazioni sia positive che negative nella salute del singolo e soprattutto su quella del suo intestino. Normali interazioni fisiche con il partner – che vanno dal semplice tocco al rapporto sessuale – permettono, infatti, ai microbi di passare da una persona all’altra e ciò è specialmente vero per la flora intestinale, la quale risulta particolarmente esposta a variabilità. Inoltre, condividere fattori stressanti, indipendentemente dal fatto che derivino dal matrimonio stesso o da eventi esterni alla coppia, può alterare in modo negativo lo stato mentale del singolo, determinando cattivo umore e/o addirittura depressione con conseguenza sulla relazione con il partner. Pare, infatti, che anche se si vive una relazione coniugale felice, questa relazione può essere costruita su cattive abitudini, come il fumo o una dieta povera, o l’umore negativo del partner, legato, ad esempio, al lavoro o ad altri fattori, può facilmente essere condiviso dal secondo membro della coppia.
L’insieme di queste ricerche e i risultati che ne derivano confermano, quindi, che tutti questi eventi, dall’alterazione della salute fisica all’influenza sulla salute mentale, sembrano proprio derivare, come già menzionato, da un effetto a catena che - come il gettare un oggetto nell’acqua determina il propagarsi delle onde - viene prodotto dalla semplice unione di due persone.
Pertanto, tenendo a mente che piccoli cambiamenti possono avere grande impatto nella nostra vita, scegliere il proprio partner sembra adesso una decisione ancora più importante, considerando che una scelta sbagliata potrebbe condurre a disturbi intestinali e stress!

LET'S KEEP MOVING:
L'IMPORTANZA DELL'ATTIVITÀ FISICA
PER LA SALUTE DEL NOSTRO CERVELLO
Quanti di voi hanno già sentito pronunciare la frase “mens sana in corpore sano” (Giovenale, 2013)? Anche se il significato originario che il poeta latino voleva dare a questa locuzione – ossia bisogna chiedere agli dei che la mente sia sana nel corpo sano – era diverso da "mantenere il corpo in forma aiuta anche la salute del cervello", è questa l'interpretazione che, ad oggi, grazie all’incremento del sapere delle scienze mediche, viene attribuita a questo motto.
In una metanalisi (Oliveri, 2016), ovvero una sintesi dei risultati ottenuti in ricerche precedenti, l’autore sottolinea quanto sia importante, soprattutto durante l’infanzia, dare un ruolo di maggiore rilevanza all’attività fisica/ricreativa e, pertanto, all’educazione fisica a livello scolastico. Quest’ultima, infatti, non solo ha come benefici la possibilità di liberarci dallo stress accumulato durante la giornata e di conoscere meglio il nostro corpo anche dal punto di vista anatomico, ma permetterebbe anche al cervello di essere più predisposto ad apprendere.
Questa necessità di restare concentrati per acquisire nuove informazioni, specialmente in ambito scolastico, è resa evidente da un dato per cui, dopo appena 15 minuti seduti, il nostro cervello inizia ad avere una carenza di glucosio e, quindi, dell’energia necessaria per non distrarsi; infatti, questo “carburante” va direttamente a concentrarsi nelle gambe. Attraverso il movimento, invece, e il gioco attivo – inteso come attività all’aperto che include socialità – sarebbe possibile non solo sviluppare abilità motorie, ma anche di problem solving e attenzione.
I vantaggi dell’attività fisica, però, non si fermano solo a questi aspetti macroscopici: a livello biologico, infatti, è possibile notare cambiamenti significativi legati all’attività fisica, tra cui una maggiore produzione dei fattori neurotrofici. Con tali fattori si fa riferimento alle proteine che regolano lo sviluppo del sistema nervoso e che contribuiscono alla neurogenesi (Razavi et al., 2015), un fenomeno per cui vengono generati nuovi neuroni da cellule immature. In particolare, questa produzione di nuovi neuroni è principalmente evidente nell’ippocampo, area del cervello coinvolta nei processi di memoria e apprendimento (Dhikav & Anand, 2012).
Sapendo che il movimento non determina solo un miglioramento della salute fisica, ma comporta anche un perfezionamento delle capacità di memorizzazione e concentrazione, sarebbe ideale dedicare meno ore davanti allo schermo di un computer e più tempo all’aperto, anche solo per una semplice camminata. So, let’s keep moving.

ADOLESCENTI E VACCINAZIONE CONTRO IL COVID:
FATTORI CHE NE INFLUENZANO LA SCELTA
La realtà pandemica nella quale ci troviamo da ormai due anni ha spinto gli scienziati a porsi diversi interrogativi, uno tra questi include l'impatto che il virus ha avuto e ha sugli adolescenti. Vediamo insieme cosa è stato rilevato!
In primo luogo possiamo dire che l'adolescenza rappresenta il periodo di crescita che precede l’accesso alla vita adulta. Durante questa fase, non è solo il nostro corpo a cambiare: modifiche avvengono anche nella sfera emotiva e psicosociale, dovute al continuo sviluppo cerebrale (Mills & Anandakumar, 2020). Proprio a causa di questa crescita in corso, gli adolescenti possono facilmente essere influenzati dal complesso di condizioni sociali e culturali nel quale si trovano a vivere. Con l’introduzione dello stato di emergenza, però, tali contesti sociali sono fortemente cambiati. Questo ha, inevitabilmente, determinato una forte alterazione della quotidianità in generale e delle relazioni sociali in particolare. Le condizioni di restrizione a cui tutti siamo stati sottoposti hanno portato, in questo caso, gli adolescenti a non avere possibilità di relazionarsi tra loro, fare nuove esperienze o, persino, continuare gli studi in una normale aula scolastica.
Per ottenere un quadro complessivo di come questa fascia d’età sia stata condizionata dall’introduzione della pandemia, tra luglio e novembre 2020, 702 adolescenti svedesi hanno partecipato ad uno studio in cui gli è stato richiesto di compilare un questionario, composto da due domande, relativo alla possibilità di vaccinarsi o meno contro il Covid (Nilsson et al., 2021). I quesiti erano i seguenti:
1) Lascia un commento se vuoi riguardo alla vaccinazione contro il Covid.
2) Ti vaccineresti?
I risultati evidenziano la divisione in tre gruppi di risposta: un primo gruppo ha espresso una consapevole mancanza di informazioni relativa al vaccino e alle sue conseguenze; un secondo ha ritenuto non necessaria un’immunità contro il virus – dato il basso tasso di mortalità in questa fascia d’età; infine, un ultimo gruppo ha optato per il vaccino al solo scopo di proteggere soggetti più a rischio.
Da questi dati è possibile, pertanto, comprendere come non uno ma molteplici fattori influenzino la scelta del vaccinarsi o non vaccinarsi. Pare, infatti, che sia la combinazione di contesto sociale e divulgazione di informazioni (corrette o meno) soprattutto sui social media, a determinare una divergenza di opinioni – rispetto alla scelta di vaccinarsi o meno – tra gli adolescenti. Questi ultimi, infatti, hanno dimostrato, in parte, motivi altruistici per sottoporsi al vaccino e, in altra parte, una preoccupazione generale per le conseguenze dell’iniezione. Inoltre, anche il grado di incertezza sembra avere un importante peso sulla scelta della vaccinazione, tanto da essere rappresentativo anche di altre popolazioni oltre a quella svedese. Ad esempio, in una ricerca italiana è emerso un incremento di alcuni dei più comuni disturbi psichiatrici, tra cui l’ansia e il disturbo ossessivo compulsivo a seguito della pandemia (Carmassi et al., 2022).
Pertanto, data l’instabilità del contesto ambientale, l’ideale sarebbe guidare gli adolescenti non solo a prendere decisioni più coscienti ma, più in generale, ad acquisire informazioni supportate da fonti attendibili, evitando di cadere nelle fake news. Tale consapevolezza, inoltre, potrebbe costituire un valido supporto per la riduzione di quel senso di insicurezza che spesso è alla base dei disturbi sopracitati.
